mercoledì 9 giugno 2010

MIETITURA E TREBBIATURA DEL GRANO

Un tempo la mietitura e la trebbiatura del grano erano una festa che coronava un lungo periodo di lavoro e contemporaneamente un impegno difficile e faticoso, reso più pesante dal caldo afoso del periodo.
Era il tempo nel quale il grano rappresentava il principale alimento: un raccolto mancato avrebbe portato la fame, ed uno scarso avrebbe reso molto difficile scegliere tra fare il pane, sacrificando il grano per la semina, o soffrire e seminare sperando in un successivo raccolto migliore ed abbondante.
Fin dai tempi antichi la raccolta del grano avveniva in due fasi separate: la mietitura e la sgranatura o trebbiatura, ovvero il taglio delle spighe, e la successiva separazione dei chicchi.
Per lungo tempo le due operazioni furono eseguite interamente a mano, con grande dispendio di energia e con notevole perdita di grano durante la sgranatura.
La raccolta avveniva da sempre tagliando le spighe a mano con una falcetta, e continuò ad essere fatta in tal modo fino ai primi anni 1950.
Agli inizi del secolo anche in agricoltura arrivarono le macchine e una delle prime fu proprio la trebbiatrice meccanica. Le prime trebbiatrice furono mosse da motori a vapore, grossi e pesanti:
trebbiatrice e motrice a vapore erano trainati da buoi. Solo negli anni
1935-40 comparvero i primi trattori con motori a scoppio che servivano
sia per il traino che per il funzionamento della trebbiatrice.
FALCI --- Erano usate per tagliare o “falciare” l’erba ed il grano. Le più grandi venivano fissate ad un’asta di legno ed usate con due mani. Alla più piccola, il falcetto,era applicato un manico ed era usata con una sola mano proprio per tagliare il grano.




In un piccolo Manuale scritto intorno al 1910 si legge:
“Le trebbiatrici a vapore sono ormai accettateda tutti. I covoni sono introdotti fra una ruota munita di sporgenze e didenti che fa da 600 a 1200 giri al minuto, detta battitore, ed unasuperficie concava irta di punte tra i cui intervalli passano i denti delbattitore, detto controbattitore. Alla macchina sono uniti apparecchisecondari quali ventilatori per soffiare via la lolla e vagli meccanici perseparare i chicchi dalla paglia”


Ma vediamo meglio cosa accadeva nelle nostre campagne fino a circa
cinquanta anni or sono.
La Mietitura
Era un lavoro gravoso, iniziato sempre al primo levar del sole anche per evitare, per quanto possibile, la calura del periodo. Il grano infatti veniva tagliato intorno alla fine di giugno e i primi di luglio.
Era anche un lavoro lungo per cui erano necessarie un buon numero di persone,
ovvero tutti i componenti la famiglia ed altri che venivano in aiuto, generalmente contadini della stessa fattoria, ai quali però l’opera doveva essere successivamente restituita.
Le spighe dovevano essere tagliate e raccolte in “manne” o “covoni”, ovvero fasci non molto grossi con le spighe tutte da un lato.
La grandezza dei fasci era determinata dalla lunghezza delle spighe che servivano per la legatura.
-Mietitori al lavoro-


Alcune persone più esperte raccoglievano infatti alcune spighe lunghe e le arrotolavano preparando quella che sarebbe stata la legatura delle “manne” o “covoni”.
I mietitori e le mietitrici afferravano con una mano un pugno di spighe e con l’altra, munita di falcetto, le tagliavano, depositandole poi sopra le legature già preparate.


- I covoni –
Successivamente le manne venivano legate e raccolte a tre o quattro, in piedi, appoggiate tra loro con le spighe in alto.
Alla sera, con un carro, raccoglievano i covoni e li trasportavano sull’aia dove sarebbe avvenuta la trebbiatura e li accatastavano in una “bica”, detta anche “mucchia”, fatta in modo da proteggere le spighe anche in caso di pioggia o grandine.
Prima di accatastarle, le manne erano tagliate pressoché a metà, ovvero subito sotto la legatura, e diventavano “mannelli”, per facilitare la successiva trebbiatura. Il “mannello”, più piccolo, era infatti più leggero e quindi più maneggevole e, particolare molto importante, nella trebbiatrice veniva introdotta meno paglia (circa la metà) facilitando ed accelerando il lavoro.



-La “bica” o “mucchia”-



Per difendersi dal sole gli uomini usavano generalmente cappelli di paglia e le donne grandi fazzoletti che servivano anche per raccogliere i capelli.
Alcune mietitrici proteggevano anche le mani da tagli con il “falcetto”, principalmente il pollice e l’indice della mano che afferrava le spighe, fasciandoli con una piccola striscia di stoffa o anche infilandoci sopra dei tubetti ricavati dalle canne.
A mezzogiorno arrivavano le donne con le ceste sulla testa, portando il pasto per tutti: così stendendo a terra, magari all’ombra di una pianta, tovaglie colorate a quadretti, c’erano per tutti zuppa, pane, formaggio, affettati e, naturalmente, vino.
Più tardi arrivarono le prime “Mietitrici meccaniche” trainate da buoi o cavalli falciavano il grano per una striscia di 80-100 centimetri, e lo lasciavano a terra, allineato con le spighe tutte all’indietro, per essere facilmente legato in covoni.


  • Mietitori e mietitrici al lavoro -













La Trebbiatura



-Un elegante disegno della trebbiatura di una volta, con motore a vapore e trebbiatrice mossa da una cinghia..-

Motrice a vapore e trebbiatrice erano, allora, macchine molto costose e quindi nessun coltivatore ed anche quasi nessuna fattoria le possedeva direttamente. Il loro intervento doveva essere cosi richiesto alle persone o alle organizzazioni che le gestivano.
Considerando anche che erano molto pesanti e trainate da buoi, quindi con tempi di spostamento abbastanza lunghi, la trebbiatrice arrivava in una zona quando molti o tutti i coltivatori avevano completato la mietitura. Dopo di che doveva solo passare da un’aia all’altra. Quando arrivava era una festa, specialmente per i ragazzi.
Il motore a vapore (detto anche “vaporiera” o più semplicemente “la caldaia”) arrivava in assetto da trasporto, con il camino piegato: la trebbiatrice era priva di tutte le cose che durante il trasporto potevano andare perdute, come le cinghie, e con i piani superiori ripiegati per ridurne l’ingombro durante il trasporto.
Un’intera giornata era necessaria per posizionare le macchine, allinearle, metterle in piano e montare le cinghie su tutte le pulegge, compreso il “cinghione” che andava dalla grossa puleggia del motore a vapore alla trebbiatrice. Era una cinghia lunga perché, per sicurezza, era necessario tenere distante il fuoco della caldaia dalla paglia e dalla lolla (detta anche “pula” o “vegliume”) molto infiammabili.
Alla caldaia veniva affiancato un recipiente di lamiera da riempire d’acqua per alimentare il vapore: poi, durante la notte, il “fuochista” accendeva il fuoco e lo alimentava, in modo da avere al mattino la giusta pressione di vapore per iniziare il lavoro.

-Trebbiatrice meccanica in assetto da trasporto.-
Ha le sponde e parte del piano superiore ripiegate sopra per ridurne l’ingombro.




-La Caldaia e il Motore a Vapore-
Si notano la zeppatura delle ruote per fermare il tutto e, in alto, il regolatore di
velocità tipo Watt. C’era anche il “fischio” a vapore, che dava il via al lavoro.

La trebbiatrice era una specie di cassone a parallelepipedo rettangolo, alta circa tre metri, larga uno e mezzo o due (con i piani superiori chiusi) e lunga sei o sette metri e verniciata sempre di rosso o arancio. (probabilmente per l’uso di vernici al piombo di allora quali il “minio”, che aveva appunto quel colore).
Sul piano superiore, che una volta aperto era largo circa tre metri, era posta l’apertura del battitore dove venivano immesse le spighe.
Le spighe “sgranate” passavano ad un vaglio che separava i chicchi dalla paglia: quest’ultima era espulsa dal dietro della macchina. Il grano passava in un ventilatore che lo separava dalla lolla, poi i chicchi uscivano da un lato (quello opposto al lato dove si trovava la bica) e cadevano in un recipiente metallico che conteneva quaranta chili di grano ed era la “misura” per il calcolo della produzione.
La pula usciva dal lato opposto.
Illavoro iniziava alle prime luci del giorno:
Erano necessarie molte persone e quindi era necessario l’intervento, oltre alle persone di famiglia, anche di altra manodopera. Generalmente erano contadini della stessa fattoria che seguivano la trebbiatrice durante il lavoro in tutti i poderi della fattoria stessa.
Le persone più importanti erano “l’imboccatore”, cioè la persona che dall’alto della macchina infilava i “mannelli” nel battitore e in un certo senso regolava il ritmo del lavoro, il “fochista”, sempre nero di carbone, importante specialmente per i ragazzi, e la persona di fiducia del fattore o del proprietario che controllava la quantità di grano prodotta e, se necessario, provvedeva a dividere le quote del proprietario e del contadino. La vaporiera emetteva un fischio, e la macchina si metteva in movimento.
Allora iniziava il rumore sbuffante del motore a vapore ed rombo della trebbiatrice, ed iniziava ad alzarsi la polvere.
La trebbiatrice veniva piazzata vicino alla bica dei mannelli così che un uomo munito di forca poteva passare un mannello per volta sopra la trebbiatrice: una persona lo raccoglieva, recideva la legatura e passava il tutto all’imboccatore che lo infilava nel battitore.



LA TREBBIATURA
Si vedono la caldaia con, sopra, il motore a vapore, la trebbiatrice e la lunga cinghia
che la muove. Si notano la “bica” dei covoni vicina alla trebbiatrice, il fuoco acceso
nella caldaia e la protezione con rete antiscintille sulla sommità del camino.

Alcune persone trasportavano la paglia che usciva dal dietro fino al costruendo “pagliaio” dove attorno ad un lungo palo infisso nel terreno era già stata posta la paglia proveniente dal taglio delle manne.
Mani esperte depositavano e sistemavano la paglia trebbiata, fino a formare un mucchio troncoconico coperto a mò di cupola dalla quale spuntava la cima del palo.
Il tutto era coperto poi con strati di paglia disposta in modo da proteggere dalla pioggia la parte sottostante e compattato da poter resistere un anno intero.
La paglia infatti doveva poi servire da lettiera ed anche da mangime per gli animali, tagliandola tutta intorno man mano che serviva.
Altri, generalmente i più giovani o le donne, trasportavano in altro punto di raccolta la pula. Il grano prodotto, raccolto nelle “misure”, veniva poi versato nei sacchi e depositato in luogo sicuro e protetto in attesa di essere trasferito nel granaio.
L’intero ciclo del lavoro, dal taglio delle spighe al trasporto, alla trebbiatura, era sempre fatto con attenzione in modo da disperdere la minore quantità possibile di chicchi. E subito dopo che il campo era stato mietuto arrivavano le spigolatrici: donne giovani ed anziane delle famiglie più povere, quasi per un non dichiarato diritto, raccoglievano attentamente le spighe rimaste abbandonate per ricavarne farina e pane.
Questo era certamente un indice della povertà nella quale vivevano strati diffusi della popolazione rurale ma anche un segno forte dell’importanza attribuita al grano.
Negli anni trenta, un manifesto pubblicitario diceva che in una giornata di lavoro, con macchinista, fuochista, imboccatore ed una diecina di persone agli altri compiti, una trebbiatrice era capace di sgranare 70-80 quintali di grano.
Con il passare del tempo le cose cambiarono.
Dopo la fine della seconda Guerra Mondiale le macchine agricole si moltiplicarono, arrivarono le mietitrici che falciavano il grano e lo depositavano a terra già legato in covoni e poi le mietitrebbiatrici che falciavano e sgranavano in grano lasciandosi dietro i sacchi pieni e legati ed una scia di paglia che doveva venire raccolta. A queste fu poi agganciata una pressapaglia che pressava e lasciava poi cadere a terra dei parallelepipedi di paglia duri e legati. Più tardi arrivarono le moderne mietitrebbiatrici che in una sola passata falciano una striscia di quattro e più metri, e trebbiano il grano depositandolo in un vano interno pronto per essere poi insaccato oppure inviato al silos o all’essiccatore. La paglia viene compressa in grossi rotoli che sono poi lasciati cadere a terra legati.
Queste macchine riescono a tagliare e trebbiare quantità impressionanti di grano ogni giorno e sono attrezzate per lavorare anche di notte. Così oggi due o tre persone con appropriati mezzi meccanici riescono a fare in poco tempo, con meno fatica e maggior sicurezza, quello che una volta tanti uomini facevano in settimane di lavoro.


Mastrobattista Pasquale